La diffusione sempre più ampia di un modello economico basato su pratiche di scambio e condivisione di beni materiali, servizi o conoscenze noto come sharing economy ha favorito lo sviluppo del c.d. home restaurant, ossia della preparazione di pranzi e cene direttamente presso il domicilio privato del cuoco in giorni dedicati e a favore di pochi amici o persone contattate su internet, in cambio di un corrispettivo.
Sino a poco tempo fa per aprire un “ristorante casalingo” non servivano particolari autorizzazioni, in forza del principio secondo cui l’homer non svolge una vera e propria attività di ristorazione.
A partire dall’anno 2009 il Legislatore ha cercato in più occasioni di introdurre una disciplina organica in materia, senza tuttavia riuscirvi poiché per nessuna delle proposte di legge presentate (DDL n. S.1612/2009, DDL n. S. 1271/2014 e DDL n. 3258/2015) è giunto a conclusione l’iter di discussione e approvazione parlamentare.
In ogni caso, sia pur sinteticamente, si ritiene opportuno ricordare gli elementi caratterizzanti i citati provvedimenti: l’attività di home restaurant ha carattere saltuario – per cui il reddito annuale generato non può eccedere euro 10.000,00 -, può svolgersi, con organizzazione familiare, per un numero massimo di venti coperti al giorno e all’interno di strutture abitative, anche condotte in locazione, aventi i requisiti igienico-sanitari per l’uso abitativo previsti dalle leggi e dai regolamenti vigenti, senza necessità di iscrizione al Registro degli esercenti il commercio e previa segnalazione d’inizio attività (SCIA) al comune competente, accompagnata da una relazione di asseveramento redatta da un tecnico abilitato e dell’attestato Haccp;
In materia è intervenuto anche il Ministero dello Sviluppo Economico il quale, con risoluzione n. 50481 del 10.04.2015, richiamando le citate proposte, ha espressamente stabilito che norme e regolamenti che disciplinano le attività di somministrazione al pubblico di alimenti, incluse quelle in materia di sicurezza alimentare, devono essere applicate anche agli home restaurant che, pertanto, pur con le loro particolarità, costituiscono attività economico-commerciali in senso proprio.
In data 17 gennaio 2017 la Camera dei Deputati ha licenziato nella sua versione definitiva la proposta di legge n. 2647 avente ad oggetto “l’attività di ristorazione in abitazione privata”, attualmente in discussione al Senato per la conversione in legge.
Tale proposta prevede che l’home restaurant si svolga esclusivamente tramite piattaforme digitali, finalizzate all’organizzazione di eventi enogastronomici, riconducibili ad un terzo gestore che, oltre a porre in contatto l’utente cuoco e il fruitore del servizio, deve assicurare che le informazioni relative alle attività degli utenti, iscritti alle medesime piattaforme, così come le relative transazioni siano tracciate e conservate.
Stabilisce altresì i seguenti ulteriori principi:
- il carattere saltuario dell’attività che non può eccedere il limite massimo di 500 coperti per anno solare, né produrre introiti superiori a 5.000 euro annui.
- l’utilizzo dell’organizzazione familiare dell’homer;
- l’esercizio dell’attività, previa comunicazione al Comune, in unità immobiliari ad uso abitativo che possiedano le caratteristiche di abitabilità e di igiene previste dalla normativa vigente, senza modifica della destinazione d’uso ed escluse quelle destinate ad attività turistico-ricettive in forma non imprenditoriale o attività di locazione per periodi di durata inferiore a trenta giorni ( c.d. B&B).
Si tratta di prescrizioni che paiono ispirarsi ad una logica restrittiva e discriminatoria rispetto al settore ristorativo tradizionale e che sembrano mal conciliarsi con i principi europei e nazionali che regolano la concorrenza, la sharing economy, la liberalizzazione e con il dettato costituzionale di libera iniziativa economica.
Tale assunto trova conforto nel parere reso in data 22 marzo 2017 dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato la quale ha evidenziato che la proposta in esame contrasta di fatto tali principi in quanto, prevedendo il ricorso alle piattaforme digitali, il numero annuo di coperti, il limite reddituale annuo, l’esclusione delle attività di B&B, Case Vacanza in forma non imprenditoriale e locazione, introduce indebite limitazioni e sostanziali discriminazioni a carico degli operatori di home restaurant.
Conclude l’Autorità auspicando “che, al fine di superare i profili discriminatori e restrittivi sopra evidenziati, i rilievi sopra svolti siano tenuti in adeguata considerazione in occasione del prosieguo dell’iter legislativo sul DDL”.
In tale contesto appare sempre più impellente la necessità di un deciso e definitivo intervento legislativo che possa stabilire regole certe, obiettive ed uniformi, al fine di garantire sia chi intende svolgere attività di home restaurant quale modalità emergente di offerta alternativa del servizio di ristorazione e al contempo nuova opportunità di reddito, sia chi, fruitore di un servizio, intende continuare a “mangiare a casa d’altri”.
Autore: Avvocato Alessandro Klun